Addio a Nanda Vigo

È mancata sabato 16 maggio, all’età di 84 anni, l’artista, designer e architetto milanese Nanda Vigo (nella foto, by Galleria Allegra Ravizza), figura di riferimento dell’arte italiana ed europea della seconda metà del Novecento e grande amica del San Fedele, con cui negli ultimi anni aveva avviato importanti progetti. 

Impossibile condensare in poche righe il suo straordinario percorso, fatto di ricerche artistiche personali e collettive (in particolare con gli artisti del cosiddetto Gruppo Zero), opere di design premiate in tutto il mondo, centinaia di esposizioni e decine di pubblicazioni (sul sito di Archivio Vigo un’ampia biografia). Mettendo al centro fin dai primi anni di attività il tema essenziale del conflitto/armonia tra luce e spazio, la Vigo ha sempre operato con uno stile interdisciplinare tra arte, design, architettura, ambiente, impegnata in molteplici progetti sia nella sua veste di architetto che di designer che di artista.   

Dopo avere esposto alcuni dei suoi capolavori in Galleria San Fedele in diverse mostre personali e collettive, Nanda Vigo ha donato al Museo San Fedele - Itinerari di arte e fede, aperto nel dicembre 2014 e ampliato con nuove sale nel 2018, una straordinaria collezione di opere da lei raccolte nel corso di un’intera vita dedicata all’arte: capolavori, tra gli altri, di Piero Manzoni, Lucio Fontana, Otto Piene, Christian Megert, Christo, Andy Warhol, Mario Schifano, Mario Radice… Opere di cui una parte è stata suddivisa ed esposta in due diversi percorsi, nel 2018 e nel 2019, sotto il titolo di “Private Collection 60/70”. 

In occasione dell’inaugurazione della seconda mostra, nel numero di dicembre 2019 il magazine della Fondazione, San Fedele Incontri, aveva pubblicato una breve intervista con Nanda Vigo, una delle ultime rilasciate dall'artista. La riproponiamo di seguito. A questo link invece un reportage video realizzato in occasione dell'ultima personale di Nanda Vigo in Galleria San Fedele, "Sky Tracks", nel 2018, realizzato da Tam Tam No TV Metamorphosi

San Fedele Incontri - Quali legami intravede fra le opere degli artisti presenti nella seconda parte della sua Private Collection? Che clima culturale testimoniano?
Nanda Vigo - Nel periodo ’60, inizio ’70, in zona Brera e dintorni, si era instaurata l’abitudine di incontro di artisti anche operanti in direzioni diverse e, tra un bicchiere e l’altro, si intrecciavano discussioni a non finire, soprattutto sulla situazione artistica. Nascevano così molte discordie, ma anche amicizie con scambi di lavoro.
Potrei dire che la “Collezione” ha avuto questo inizio, ma non è esatto, in quanto ho solo raccolto opere con le quali ho avuto un interscambio culturale sia nel la mia direzione di lavoro (è il caso ad esempio del movimento Zero), sia in altre, più per amicizia che non per condivisione di intenti. Mi piace molto, fisicamente, avere queste opere intorno a me, che nel tempo sono diventate una mia seconda pelle, e che quindi non considero “Collezione”. Il clima che questi lavori rappresentano è quello di ricerche che vanno in diverse direzioni che nell’insieme sono testimonianze della volontà del “cambiamento”. E, in effetti, tutte insieme daranno inizio a nuove tipologie di lavoro “dall’Arte povera alla Transavanguardia”, e chi più ne ha più ne metta, fino agli anni ’80 dove secondo me si è creato un blocco totale della ricerca.

SFI - Quanto hanno inciso questi artisti, con le loro idee e le loro proposte, sulla sua opera? Da chi ha tratto maggiori suggestioni, spunti, insegnamenti? Quali di questi ha trasmesso ai giovani artisti che hanno collaborato con lei nel corso del tempo?
NV - Proprio niente, hanno solo confermato la mia direzione di lavoro; ma è certo che ho molto imparato dalla mia amicizia con Lucio Fontana: ad esempio a perseguire la mia poetica, il mio credo. Culturalmente ho anche molto imparato da Remo Brindisi e dal grande Gio Ponti, tutti artisti con apertura a “390 gradi”. Questo è quello che ho sempre cercato di trasmettere ai giovani.

SFI - C’è un aneddoto particolare legato a un’opera o a un artista presenti nella nuova esposizione?
NV - Tanti e nessuno in particolare. Purtroppo non sono più riuscita a recuperare un’opera a cui tenevo molto: era una sedia con un collage della Gioconda; dopo una notte di “bevute” alla Coupole di Parigi, nel piccolo studio di rue Mouffetard, Daniel Spoerri mi permise infatti di terminare il suo lavoro. Alle sei della mattina ero ancora là che incollavo. Per me è stato molto emozionante.

SFI - Che cosa significa per lei essere una collezionista? 
NV - Non sono una collezionista, semmai una che conserva ricordi, affetto e stima per dei compagni di strada.