Per ricostruire la storia del Centro Giovani Coppie San Fedele, che nel 2019 ha festeggiato i 25 anni di attività, e per comprendere quali sono, oggi, le attività e gli obiettivi principali dell’associazione, abbiamo incontrato Adriano e Luisa Pennati, una delle prime coppie a essere coinvolte dal fondatore, padre Giovanni Ballis.
Come è nata l’idea del Centro?
Fondamentale è stata l’iniziativa di padre Ballis. Era arrivato a Milano da Roma, dove aveva iniziato un lavoro simile rendendosi conto dell’importanza di seguire le coppie subito dopo il matrimonio. Allora, ma in parte anche oggi, in ambito ecclesiale le persone erano seguite da bambini, da ragazzi e poi da giovani fino al matrimonio; dopo c’era un vuoto assoluto finché le stesse persone eventualmente “riapparivano” come genitori dei bambini del catechismo. Invece iniziava a essere chiaro che i primi anni di matrimonio erano e sono un momento molto delicato.
Fin dalle origini, e ancora adesso, il Centro non ha però un impronta “confessionale”…
Esatto. È stata un’altra intuizione di padre Giovanni: per le persone non religiose o praticanti che decidono comunque di impegnarsi in un matrimonio, c’erano poche proposte formative. Per questo ha voluto fare qualcosa che si concentrasse sugli aspetti umani del vivere insieme, sulla relazione. La cosa in realtà riguarda anche i credenti: Ballis era convinto che il sacramento “funziona” se c’è una sostanza umana di coppia, altrimenti non ha efficacia. Non ha senso pensare a un Dio tappabuchi che ti risolve i problemi se non sei capace di affrontarli da solo. Questo carattere laico dell’associazione ne rappresenta ancora oggi un tratto distintivo.
Che cosa è successo dopo la morte del fondatore, nel 1996?
Lui aveva aggregato attorno all’idea alcune persone, tra cui noi due. Non voleva certo fare una cosa in cui “comandasse” un prete e i laici obbedissero. Quindi, dopo la sua scomparsa, l’associazione (che in realtà si è costituita formalmente come tale solo nel 1999) ha potuto andare avanti con le sue gambe. Oltre alle conferenze, che sono ancora oggi una delle attività più note del Centro, sono nati i gruppi familiari, con incontri periodici di 7-8 coppie in cui si condividono esperienze, successi e difficoltà nel vivere insieme.
A questo proposito, a vostro parere sono cambiate le problematiche e le esigenze di una coppia oggi, oppure sono sempre le stesse?
Le esigenze sono le stesse ma più forti, più esasperate. Tuttavia, paradossalmente la domanda di aiuto è calata. È come se ci fosse un bisogno più forte, ma meno consapevolezza. Aggiungiamo poi che la dimensione collettiva, di gruppo, oggi è molto meno praticata. Ci sono i social, c’è questa illusione che essendo in rete ci siano più scambi. Ma questo in realtà ha ridotto gli spazi di socialità. E poi sono peggiorati i ritmi di vita: ci sono molte coppie che durante la settimana vivono in città diverse per lavoro e si vedono solo nel weekend. Tutto questo crea una grande difficoltà di comunicazione. Nella coppia oggi si fa molta fatica a comunicare, a dialogare davvero, a fermarsi e guardarsi negli occhi. C’è la smania di occupare tutti i buchi, si teme il vuoto. E poi c’è il grande tema dei figli, che se arrivano – in genere uno – arrivano tra i 30 e i 40 anni, quando sia i partner sia la coppia come tale hanno assunto abitudini ormai consolidate, quando ci sono ansie che da giovani non si hanno. Il figlio scombussola tutto, viene messo – a volte nevroticamente – al centro dell’attenzione, e facilmente le coppie vanno in pezzi.
Come cercate di rispondere a queste sfide?
Noi continuiamo a pensare alle conferenze non come una riflessione culturale fine a se stessa, ma come una provocazione a uscire dal guscio. I temi di questi anni sono andati in questa linea,
e così sarà anche nel 2019-2020: il tema dello straniero è la provocazione a mettersi in relazione con chi ci sta intorno, che sia il proprio partner con le sue diversità o l’immigrato che arriva con i barconi.
Questo è il lavoro di semina, poi c’è la coltivazione in serra, ovvero il lavoro fatto nei gruppi, che è un po’ in difficoltà. Dopo anni in cui erano attivi 6-7 gruppi di famiglie, oggi ne abbiamo solo due. Viceversa funzionano bene i percorsi tematici: 4 incontri di mezza giornata su un argomento specifico. Infine, cerchiamo di portare avanti anche un’attività di sportello per coppie in difficoltà.
Il Centro è nato 25 anni fa al San Fedele, un’opera dei gesuiti, e qui continua a operare. Qual è il legame con la Compagnia di Gesù e con la spiritualità ignaziana?
Difficile rispondere in poche battute. Sicuramente il discernimento. A costo di banalizzare un po’ il concetto si potrebbe dire che quello che cerchiamo di instillare nelle coppie è “il pensarci su”, ragionare su quello che capita, capire ciò che aiuta e ciò che fa male alla coppia e ai partner. E poi sicuramente ci ritroviamo nell’importanza attribuita a vivere la fede dentro una storia concreta: indubbiamente quella ignaziana è una spiritualità del reale e del quotidiano.
Per maggiori info:
www.centrogiovanicoppiesanfedele.it